Ileite da Lawsonia intracellularis nel suino

L’impatto economico delle patologie enteriche nell’allevamento suino rappresenta un problema rilevante, soprattutto nel periodo dello svezzamento e del magronaggio. Mentre i soggetti più giovani vengono colpiti più frequentemente da forme virali, con il progredire dell’età i batteri sono causa di diarrea con crescente frequenza.

Porcellino
sieropositività

Fra le maggiori cause di perdite economiche nell’allevamento intensivo occorre sicuramente menzionare l’ileite proliferativa da Lawsonia intracellularis, una malattia intestinale a trasmissione oro-fecale. L’ileite del suino, anche chiamata enteropatia proliferativa (proliferative enteropathy, o PE), determina una riduzione dell’incremento ponderale e dell’indice di conversione dell’alimento, nonché l’aumento della mortalità e del numero di soggetti di scarto. Ciò si traduce in un consistente calo della redditività dell’allevamento. Si tratta di una patologia infettiva estremamente comune nel suino, nota sin dal 1931, che ha poi iniziato a diffondersi e ad assumere sempre maggiore importanza a partire dagli anni ‘70. L’ileite è considerata una malattia endemica in numerosi Paesi e in Europa si stima che oltre il 90% delle aziende siano interessate dal problema.

Lawsonia intracellularis

Il microrganismo responsabile dell’ileite è un batterio che replica all’interno delle cellule intestinali, determinando le caratteristiche lesioni che provocano l’ispessimento della mucosa. La trasmissione avviene attraverso il contatto diretto o indiretto con le feci di animali infetti. Ma non solo i suini sono colpiti: è stata dimostrata la possibilità che anche le feci di topi infetti possano diffondere la patologia all’interno dell’allevamento suinicolo.
L’eliminazione di questo batterio con il materiale fecale inizia dopo circa una settimana dall’infezione, con un picco a 3 settimane, e permane per 4 settimane. In alcuni soggetti, tuttavia, si verifica una eliminazione fecale intermittente che si protrae fino a 12 settimane.
Una volta introdotto nell’ambiente, il batterio può resistere (vivo e infettante) per circa 2 settimane a 5-15°C.
La malattia può sfociare in diverse forme cliniche a seconda del management aziendale, della dose infettante e della situazione immunitaria del soggetto colpito. Negli allevamenti a flusso continuo, l’infezione si verifica di solito poche settimane dopo lo svezzamento, mentre negli allevamenti multisito, dove si applica la stretta separazione dei gruppi di suini, l’infezione può comparire nei suini in accrescimento fino all’età di 14-20 settimane.

iceberg

I segni clinici di ileite da L. intracellularis nei suini sono spesso caratterizzati da diarrea acuta di gravità variabile che può progredire verso la diarrea acquosa o emorragica. Si possono anche osservare comunemente pallore, debolezza e morte rapida. La forma subclinica è caratterizzata da scarso accrescimento, diarrea sporadica, anoressia e apatia.
La diarrea compare dopo 9 giorni dall’infezione e si protrae per 21 giorni. Nelle feci può essere presente del sangue.
Le forme cliniche principali sono rappresentate da una forma acuta ad elevata mortalità (fino al 50%), che si manifesta soprattutto in suini di 4-12 mesi di età con diarrea emorragica e da una forma cronica che colpisce animali dalle 6 alle 20 settimane di età, nei quali il sintomo principale è rappresentato da una diarrea con feci pastose. La forma acuta può condurre a morte improvvisa, dopo episodi di diarrea emorragica e anemia, mentre nella forma cronica la diarrea potrebbe anche essere assente o manifestarsi solo nei soggetti che presentano lesioni intestinali più gravi. Nel caso in cui sia presente, la diarrea è lieve o moderata, da densa ad acquosa e di colore verdognolo, associata ad anoressia di grado variabile e a ridotto accrescimento anche in caso di appetito conservato.
La forma subclinica è quella più comune nei suini in accrescimento, si manifesta unicamente con la riduzione dell’IPMG e può essere evidenziata dalla difformità di accrescimento all’interno del gruppo. I suini portatori in stadio subclinico rappresentano la fonte di mantenimento di infezione all’interno dell’azienda.

Come individuarlo?

La diagnosi di ileite si basa storicamente sui sintomi clinici, i quali però sono spesso aspecifici o addirittura assenti. Si sono sviluppate quindi tecniche di laboratorio più efficaci.
Siccome la coltivazione del batterio risulta piuttosto difficoltosa, per la diagnosi diretta il metodo più diffuso è l’utilizzo della PCR su campioni fecali. L’alta sensibilità del metodo consente di dimostrare la presenza di L. intracellularis anche in assenza di segni clinici. Per la diagnosi di routine viene invece usata la diagnosi indiretta mediante la determinazione di anticorpi specifici nel siero.
La diagnosi è uno strumento fondamentale soprattutto per eliminare i soggetti con malattia subclinica, che rappresentano un serbatoio di infezione per l’allevamento. Nelle aziende in cui l’infezione è endemica, i soggetti con forma subclinica di ileite possono essere individuati rilevando la presenza intermittente di L. intracellularis nelle feci di animali con ridotto accrescimento.

La prevenzione e il controllo si possono articolare in quattro tipologie di intervento: misure di igiene ambientale e biosicurezza interna, alimentazione, impiego di antibiotici, vaccinazione.
Una derattizzazione efficace, rigorosi protocolli di pulizia e disinfezione applicati correttamente e l’utilizzo di procedure tutto pieno/tutto vuoto possono diminuire il numero dei casi di ileite. Disinfettanti come i sali quaternari di ammonio, le aldeidi e gli agenti ossidanti sono in grado di inattivare il batterio in 10-30 minuti. Se l’ambiente rimane contaminato da quantità elevate di L. intracellularis anche dopo le procedure di pulizia e disinfezione, il batterio può sopravvivere e mantenere il suo potere infettante per circa 2 settimane, causando il contagio dei nuovi gruppi di suini introdotti all’interno di queste strutture. L’assenza, anche per un periodo di anni, di forme cliniche ricollegabili ad ileite da Lawsonia in un allevamento convenzionale non è garanzia di indennità dal patogeno.

vet con suini

La composizione della dieta e la sua granulometria possono influenzare la probabilità di infezione, anche attraverso la modulazione del microbiota intestinale, sul quale è possibile intervenire mediante l’utilizzo di probiotici (batteri la cui presenza apporta benefici al tratto intestinale) e prebiotici (integratori che inducono la crescita e favoriscono l’attività dei probiotici). La fibra stessa agisce sulla motilità intestinale e modifica la composizione della popolazione batterica dell’intestino, selezionando i ceppi più utili alla corretta funzionalità dell’apparato digerente.

Gli antibiotici, utilizzati a scopo terapeutico per controllare i focolai di ileite, permettono di ridurre rapidamente la progressione dell’epidemia, ma la scelta del farmaco è fondamentale per ottenere il migliore risultato possibile. Ricordiamo comunque che l’uso degli antibiotici, oltre a non essere risolutivo nel medio periodo, è sottoposto a normative e controlli che ne limitano l’uso.

La vaccinazione è sicuramente economicamente vantaggiosa e riduce la necessità di ricorrere agli antibiotici. Negli animali vaccinati, le lesioni sono meno gravi e la quantità di batteri nelle feci è ridotta. Esistono sia vaccini vivi attenuati, somministrabili oralmente nell’acqua di abbeverata o nell’alimento in broda, che vaccini inattivati da somministrare in un’unica dose per via intramuscolare.

Il controllo di questa malattia, quindi, dovrebbe basarsi su una corretta valutazione epidemiologica, su un uso maggiormente responsabile dei farmaci, su misure di profilassi diretta anche di tipo alimentare e sulla pianificazione di interventi vaccinali. Le strategie di controllo diventano fondamentali in quanto l’ampia diffusione di questa patologia enterica negli allevamenti è causa di ingenti perdite economiche e influenza negativamente i costi di produzione, provocando perdita di peso

e mancato accrescimento dei soggetti colpiti, presenza di gruppi disomogenei e aumento del tempo di permanenza nei settori di ingrasso.

Bibliografia:
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3. Anbu K. Karuppannan and Tanja Opriessnig - Lawsonia intracellularis: Revisiting the Disease Ecology and Control of This Fastidious Pathogen in Pigs - Frontiers in Veterinary Science August 2018 Volume 5 Article 181
4. Anbu Kumar Karuppannan - Editorial: Lawsonia intracellularis: a problem well understood is a problem half solved - Frontiers in Veterinary Science 02 May 2023
5. F. A. Vannucci and C. J. Gebhart - Recent Advances in Understanding the Pathogenesis of Lawsonia intracellularis Infections - Veterinary Pathology 2014, Vol. 51(2) 465-477